La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 28880/2023, ha stabilito che in tema di usucapione la pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento e la sua trascrizione, ex art. 88 della Legge fallimentare, sono inidonee ad interrompere il tempo per l’acquisto del diritto di proprietà, conseguendo l’interruzione del possesso solo all’azione del curatore tesa al recupero del bene mediante spossessamento del soggetto usucapente, nelle forme e nei modi prescritti dagli artt. 1165 e 1167 c.c.
L’usucapione è un modo per diventare proprietari di un bene senza bisogno di un contratto, di un testamento e, addirittura, senza bisogno di un accordo con il proprietario del bene.
Nel caso specifico, quello della sentenza, non si erano verificati gli eventi propri dell’interruzione dell’usucapione di un bene immobile, vale a dire la perdita del possesso per almeno un anno o la promozione di un’azione giudiziale volta al recupero del possesso del bene immobile.
Il fallimento dunque non interrompe i termini per l’acquisto di immobili per usucapione.
Pertanto, anche quando il periodo di possesso continuato si conclude dopo la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento dell’intestatario, ovvero dopo la sua trascrizione nei registri immobiliari, l’acquisto sarebbe comunque opponibile alla procedura. La trascrizione ex art. 88 l.fall. è infatti prevista unicamente ai fini dell’opponibilità al fallimento degli acquisti a titolo derivativo e non di quelli a titolo originario.
La sentenza di fallimento non interrompe l’usucapione, dunque.
Nel cassare con rinvio la sentenza resa dalla Corte di appello di Roma, la Corte di Cassazione ha statuito con nettezza che non può considerarsi preclusiva della proponibilità della domanda di usucapione la sentenza dichiarativa di fallimento del titolare del bene immobile né la relativa trascrizione della relativa sentenza non producendo la stessa un effetto di indisponibilità del bene e di inopponibilità dell’atto acquisitivo.