La sentenza della Corte Costituzionale, depositata IL 23 giugno 2023, ha dichiarato incostituzionale il pagamento differito del Trattamento di Fine Servizio (TFS) ai dipendenti pubblici, equiparabile alla liquidazione. Questa decisione mette fine a una disputa che durava da ben ventisei anni e richiede al governo di trovare immediatamente una soluzione al problema, che rischia di creare un deficit di ben quattordici miliardi di euro nel bilancio dell’INPS quest’anno, con possibili conseguenze anche per gli anni a venire.
Il meccanismo introdotto nel 1997, con l’obiettivo di alleggerire i conti pubblici, prevedeva il pagamento differito del TFS dopo dodici mesi dalla data di uscita per raggiungimento dell’anzianità e di due anni in tutti gli altri casi. Inizialmente concepito come una misura temporanea, nel corso degli anni è stato invece ulteriormente aggravato. Nel 2010, il governo ha introdotto anche la possibilità di rateizzare i pagamenti delle liquidazioni differite, che oggi vengono pagate in tre anni se superano i 100.000 euro (uno sotto i 50.000 euro e due tra i 50.000 e i 100.000 euro).
Secondo la Corte Costituzionale, il pagamento differito del TFS e la sua eventuale rateizzazione contrastano con il principio costituzionale della giusta retribuzione, che non riguarda solo l’importo adeguato, ma anche la tempestività del pagamento. La rateizzazione, inoltre, peggiora ulteriormente la situazione. I sindacati stimano che circa un milione e 650.000 ex dipendenti pubblici, attualmente pensionati, siano in attesa del pagamento del TFS, alcuni addirittura da sette anni. Il TFS era riconosciuto ai dipendenti pubblici assunti fino all’anno 2000 e successivamente sostituito dal Trattamento di Fine Rapporto.
I sindacati si sono espressi soddisfatti per la decisione della Corte Costituzionale e hanno chiesto al governo e al Parlamento di attuare la sentenza e iniziare immediatamente i pagamenti arretrati. La Corte aveva già espresso una forte preoccupazione riguardo al TFS differito nel 2019 e aveva richiesto una ridefinizione della disciplina, che era diventata strutturale nonostante l’originaria natura temporanea. Tuttavia, la Corte rileva che non sono stati attuati i rimedi richiesti in precedenza.
I meccanismi introdotti negli ultimi anni, che consentono ai dipendenti pubblici di ottenere un anticipo della liquidazione differita attraverso prestiti onerosi, secondo la Corte non sono soluzioni adeguate. Al contrario, impongono ai lavoratori stessi il costo della fruizione di un’emolumento che fa parte della retribuzione dovuta per il servizio prestato.
È indubbio che il governo debba intervenire in questa situazione, anche per evitare ripercussioni sui conti dell’INPS, che stima un impatto di
13,9 miliardi di euro nel 2023, come quantificato dall’istituto stesso durante il processo. La situazione potrebbe peggiorare ulteriormente nei prossimi anni, quando molti dipendenti pubblici raggiungeranno l’età pensionabile. La Corte suggerisce una soluzione graduale che rispetti i principi di adeguatezza della retribuzione, ragionevolezza e proporzionalità, partendo dai trattamenti meno elevati per estendersi gradualmente agli altri.